La Costa D’Avorio è in fiamme, furiosi combattimenti nella capitale. Assediata la casa del presidente uscente che denuncia: “Sono vittima di un complotto Usa-Francia”. Preso il porto di S. Pedro, luogo nevralgico per il cacao. La guerra civile ha dato il via ad un vero e proprio esodo di massa da Abidjan. L’UNHCR ha calcolato che a fuggire sono almeno un milione di persone.
Tutti gli occhi dell’occidente e dei grandi media internazionali sono puntati sulla Libia, dove una “coalizione di (pochi) volenterosi”, in parte spalleggiata dall’Onu, combatte per il petrolio. Pochi sanno che in queste ore in Costa D’Avorio c’è una guerra civile che sta arrivando alla resa dei conti, anche qui con grandi interessi economici in ballo, essendo il paese africano il primo produttore al mondo del prezioso cacao.
La crisi ha avuto origine dalle elezioni del 28 novembre scorso. La vittoria elettorale di Alassane Ouattara, con il 54% dei voti, è stata proclamata il 2 dicembre 2010 dalla commissione elettorale. Ma il giorno successivo, il Consiglio Costituzionale ha invalidato il risultato in sette province, proclamando vincitore il presidente in carica, Laurent Gbagbo, che ha quindi deciso di rimanere al potere. La comunità internazionale (USA e Francia per primi) ha però riconosciuto la vittoria di Ouattara, che si è inizialmente asserragliato nel Golf Hotel di Abidjan, protetto da 800 dei 10 mila caschi blu dell’ONU che sono dispiegati in Costa d’Avorio nell’ambito della missione di pace. Gbagbo è stato invitato a farsi da parte. L’Unione Africana, l’Unione Europea (ma esiste ?) e la Francia (ex potenza coloniale), tramite alcuni presidenti africani hanno offerto a Gbagbo un’aministia in cambio della sua uscita di scena (come per Gheddafi). Sia dalla Francia, che dagli Stati Uniti e l’Onu, sono giunti inviti perché Gbagbo si facesse da parte e l’Ue ha varato sanzioni nei suoi confronti. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha rinnovato di sei mesi il mandato della missione di pace, ignorando il fatto che Gbagbo avesse intimato ai caschi blu di lasciare il paese. Intimazione inutilmente rivolta anche ai 900 uomini della missione militare francese Licorne, che agisce in maniera distinta.
Gli scontri armati hanno già provocato molte vittime tra la popolazione civile. Ma ci sono morti anche tra gli stranieri. La guerra civile combattuta ormai strada per strada i, ha dato il via ad un vero e proprio esodo di massa dalla capitale, sia verso i villaggi all’interno del Paese, sia in direzione del confine con la Liberia ad Ovest che ad Est verso il Ghana. L’UNHCR ha calcolato che a fuggire non siano meno di un milione di persone.
Mike Jurry, direttore della Caritas nel Sud Est della Liberia, uno dei paesi più coinvolti dall’esodo di civili in fuga dai combattimenti – ha dichiarato a Repubblica- “Qui, nella sola regione del Gran Gedeh forniamo assistenza a circa 30 mila persone, ma in tutto il paese, dall’inizio della crisi, ne sono arrivate almeno 120 mila. Cibo, acqua ma anche generi di prima necessità, per quanto possibile. All’inizio, tra i mesi di gennaio e febbraio – ha detto ancora Jurry – erano soprattutto donne e bambini ad arrivare, dopo qualche giorno di cammino. Ora ad attraversare la frontiera, oltre alle donne, ci sono anche gli uomini, spesso feriti da arma da fuoco. Le persone che arrivano dai villaggi sono profondamente traumatizzate. Hanno subito delle violenze o si sono visti uccidere dei familiari sotto gli occhi”.
Questa guerra e l’”Esodo Biblico” della popolazione Ivoriana, con il suo triste corollario di tanti morti civili, non interessano ai nostri politici e ai nostri mezzi di comunicazione. Soprattutto se non sbarcano a Lampedusa.