Evo Morales Ayma, l’indigeno venuto dal “nulla”, vince le elezioni boliviane con oltre il 63% dei voti al primo turno: da far tremare i polsi ai teorici del consenso plebiscitario di casa nostra. Vince la politica della partecipazione e del “buen vivir”.
[di Giuseppe De Marzo – A Sud. Pubblicato su Carta.org il 9/12/09]
Chi l’ha detto che non si può cambiare? Chi l’ha detto che non si può mettere in atto un processo di trasformazione sociale profondo e radicale? Chi l’ha detto che non si possono conquistare nuovi diritti? Chi l’ha detto che i movimenti sociali non possono incidere veramente e guidare processi di cambio? Chi l’ha detto che non si può partecipare alla politica ed essere protagonisti del proprio futuro? Chi l’ha detto che bisogna sempre e solo essere realistici e pragmatici, anche quando questo si traduce in un arretramento verso il baratro? Chi l’ha detto che è troppo tardi?
Chi ha detto tutto questo oggi vive male, forse malissimo, la straordinaria vittoria del “Buen Vivir” in Bolivia, rappresentata dal primo presidente indigeno dell’America del Sud, Evo Morales Ayma. Una vittora con oltre il 63% dei voti, al primo turno: da far tremare i polsi ai teorici del consenso plebiscitario di casa nostra, sempre impegnati a sbandierare sondaggi inverosimili che hanno come unico scopo l’autoconvincimento (o l’autorimbambimento?).
Una vittoria che consegna due terzi del parlamento al MAS, il Movimento per il Socialismo, il partito di Evo Morales. Una schiacciante e liberatoria valanga di voti ha seppellito per sempre il neoliberismo in Bolivia e, forse, definitivamente in tutta l’America Latina, dove le scelte e le pratiche del governo Morales sono diventate un punto di riferimento non solo per i movimenti ma per tutti i governi di sinistra.
Dalla sua prima elezione nel 2005, il governo Morales ha lavorato per riconsegnare lo strumento della “politica” nella mani dei cittadini e delle cittadine, non solo attraverso un redistribuzione delle ricchezze e delle risorse del paese. Le nazionalizzazioni dei principali beni comuni (gas, petrolio, litio, ecc..) hanno consentito un miglioramento concreto delle condizioni di vita di milioni di boliviani, sino ad allora considerate le peggiori di tutta l’America Latina insieme ad Haiti, nonostante le immense ricchezze del paese andino. A queste è seguita la realizzazione di una Assemblea Costituente con il compito di riscrivere la Carta Costituzionale. Dalla Assemblea costituente ha avuto origine il nuovo contratto sociale, nel quale per la prima volta vengono riconosciuti diritti di cui nemmeno i cosiddetti paesi del “primo” mondo dispongono. Dal diritto all’acqua per arrivare a quelli della natura, attraverso il riconoscimento della tutela e titolarità di diritto.
Una gigantesca opera di “decolonizzazione” di un paese colonizzato per 500 anni in cui gli indigeni, maggioranza della popolazione, è stata confinata nel migliore dei casi al rango di inservienti nelle grandi abitazioni dei latifondisti. In altri addirittura a quello di schiavitù. Finalmente le comunità indigene vedono riconosciuti i propri diritti, la propria autonomia, e la Bolivia diventa una stato plurinazionale e comunitario.
Accanto all’autonomia indigena ed al riconoscimento della pluralità di visioni comunitarie del paese, vengono riconosciuti, come dicevamo, diritti e di conseguenza garanzie, che minano la struttura borghese e coloniale dello Stato e la concezione esclusivamente capitalista del mercato. Una Costituzione dunque non solo capace di iniziare il percorso di “decolonizzazione” culturale ma anche in grado di fornire gli strumenti per eradicare il capitalismo come modello sociale ed economico. Lo Stato garantisce infatti più visioni sostenendo nel rango giuridico più alto la pluralità delle differenti forme di economia presenti nella società e nelle relazioni umane. Per farlo si arricchisce di uno strumento di lettura basato sull’interculturalità per praticare la plurinazionalità. E’ questo l’approccio che conduce all’economia sociale e comunitaria ed ai diritti della natura come pietra angolare di una nuova società basata sul Buen Vivir.
Oggi con la vittoria che consegna due terzi del parlamento al MAS sarà possibile portare avanti le circa cento leggi quadro che servano per rendere concreta nella vita di tutti i giorni la Costituzione ed i suoi nuovi diritti e garanzie. Una vera e propria rivoluzione democratica, così come è stata definità, nonostante i numerosi tentativi della destra boliviana ed internazionale di destabilizzare il processo di cambio boliviano, anche con un paio di tentativi di colpo di stato. Una vera e propria vittoria per tutti i movimenti impegnati a trasformare la Bolivia in una società in movimento in cui il metodo del “costituzionalismo sperimentale” diventa la pratica per continuare a tenere aperto e vivo il processo di cambio.
“Una terra ed una vita senza male per lo sviluppo del Sumak Kawsay”, del viver bene. Qualcuno avrebbe storto la bocca pochi anni fa, oppure riso per la presunta velleità di un progetto di ricostruzione sociale basato su una democrazia deliberativa. A distanza di meno di dieci anni dalla guerra dell’acqua di Cochabamba che ha segnato l’inizio delle grandi mobilitazioni dei movimenti sociali boliviani, il paese Andino guidato da Morales è nei fatti un punto di riferimento ed un esempio di buon governo della sinistra in tutto il mondo. Una sinistra nuova che non ha avuto paura nè di salvare quanto ci fosse da salvare del proprio passato ed allo stesso tempo mai titubante di immaginare un progetto di futuro appassionante e capace di parlare a tutti ed a tutte.
Nei giorni di Copenaghen, dove si incontrano i presunti grandi (molti assenti o solo in passeralla per qualche minuto), il mondo naufraga e si “scioglie” davanti al fallimento della governance globale ed all’incapacità della sinistra europea di offrire delle alterntive credibili (quella italiana non è pervenuta…). Sull’altro fronte, paesi del sud del mondo considerati sino a poco tempo fa alla stregua di una carnevalesca e passeggera ribellione folclorica, guidano il campo delle proposte e delle alternative soprattutto in campo ambientale. A partire, non a caso, dal governo boliviano che ha provato a spingere la migliore proposta possibile, nata e sviluppatasi all’interno dei movimenti sociali e per la giustizia climatica. Istituzioni di tribunali sulla giustizia climatica, riconoscimento del debito ecologico, drastica riduzioni della CO2 e creazione di un fondo per i paesi del sud vittime di crimini ambientali o degli effetti dei cambiamenti climatici, alcune delle proposte portate da Morales al vertice in corso sul clima. Proposte concrete che partono proprio dal cuore della società civile globale, che rappresenta l’unica vera speranza rimasta per costruire una nuova democrazia della Terra. Anche per questo la vittoria di Morales è una vittoria di tutti quei popoli, quelle comuntà, quei soggetti che non si arrendono alla “fine della storia” e che si impegnano giornalmente per estendere il campo dei diritti e della partecipazione.
La vittoria a valanga del MAS boliviano è la naturale conseguenza per una forza politica capace di sintonizzarsi e rispondere alle esigenze, ai bisogni ed alle aspirazioni dei propri cittadini. Nienti di cui stupirsi per gli osservatori che hanno seguito il processo di cambio iniziato dai movimenti sociali ed indigeni boliviani. Stupisce che alcuni se ne accorgano solo adesso. Nessuno stupore invece per le autorità tradizionali indigene del continente chiamato Abya Yala prima che fosse invaso dai conquistadores. Loro l’avevano già previsto quanto sta avvenendo in Bolivia come in molti altri luoghi dell’America Latina.
Il grande Tupac Katari, che organizzò la resistenza indigena per combattere gli invasori nel 1781, del resto l’aveva detto prima di essere barbaramente tammazzato: “volverè y sarè millones”, ritornerò e saremo milioni. E’ stato di parola.
Giuseppe De Marzo
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