Oggi ricorre l’anniversario della morte di Giorgiana Masi, giovane studentessa romana del liceo “Pasteur” uccisa a colpi di pistola a ponte Garibaldi, mentre stava partecipando con altre migliaia di ragazze e ragazzi alla manifestazione per festeggiare la ricorrenza della vittoria nel referendum sul divorzio.
Giorgiana aveva 18 anni e come tanti altri giovani che componevano il movimento del ’77 credeva che lo stare in piazza, il non delegare ai professionisti della politica e il partecipare in prima persona alle lotte fosse il modo migliore di crescere insieme agli altri.
All’iniziativa del 12 maggio aderirono i simpatizzanti del movimento per protestare contro la diminuzione degli spazi di espressione politica ed il clima repressivo nei loro confronti. Nelle strade erano presenti centinaia di membri delle forze dell’ordine in assetto antisommossa, coadiuvati da agenti in borghese. Nella giornata scoppiarono diversi incidenti, con lancio di bombe incendiarie e colpi d’arma da fuoco.
Nel tardo pomeriggio (il sole era quasi calato poiché nel 1977 l’ora legale entrava in vigore dal 22 maggio), tra le ore 19 e le ore 20, due ragazze e un carabiniere furono raggiunti da proiettili esplosi da Ponte Garibaldi e da altre direzioni: primo a essere colpito, dopo le 19, il carabiniere Francesco Ruggeri ferito alla mano; verso le 20 vengono colpite Giorgiana Masi, 19 anni, alla schiena da un proiettile calibro 22, deceduta durante il trasporto in ospedale, e Elena Ascione, ferita a una gamba.
La morte di Giorgiana, così come quelle di Francesco Lo Russo e di Walter Rossi sempre nel ‘77, è rimasta senza giustizia e per molti della mia generazione è ancora oggi un ricordo senza pace. Morti rimasti senza giustizia così come altri giovani compagni assassinati.
Dopo ben 31 anni dall’assassinio di Giorgiana le gravi responsabilità delle squadre speciali che percorrevano pistole alla mano corso Vittorio Emanuele, sparando ad altezza d’uomo e riparandosi poi dietro ai blindati delle forze dell’ordine (come più volte documentato anche attraverso le storiche riprese di cineamatori trasmesse negli anni seguenti dalla stessa Rai), restano ancora impunite.
Condivido pienamente.
Giovani e pieni di entusiasmo, il vero errore fu cercare di rinchiudere quelle energie negli ideali dei nostri nonni.
Se dovessi ragionare come si faceva allora ti ricordo che quello fu anche il tentativo di movimentare le masse su questioni etiche trasversali più che strettamente ideologiche. Ci si appropriava di uno spazio politico che non doveva essere riferibile a nessuno ma i tempi erano troppo giovani mentre i veri giovani avevano accettato, purtroppo con troppe diversità esposte e sbattute in faccia, di esserci quasi meravigliandosi di ritrovarsi così tanti e così diversi dietro a poche parole d’ordine.
Ricordo perfettamente che una febbre a 40 mi impedì di partecipare alla manifestazione organizzata dai radicali ed alla quale aderì il movimento. Stetti tutto il pomeriggio a letto, febbricitante, mentre seguivo il corso della manifestazione stessa ascoltando le varie radio libere. Erano i tempi di RCF, Onda Rossa e pure radio radicale. Non so perché mi sentissi così frustrato dalla impossibilità di esserci, onestamente non ero un attivista ma semplicemente un simpatizzante esterno.. Però, inutile dirlo, era un periodo particolare, e ricordo bene la voglia di essere lì a testimoniare, con entusiasmo, la speranza e la rabbia di chi voleva e cercava di cambiare in meglio il “sistema”. Percepisco ancora l’amaro dell’epilogo di quella sera. Non solo perché le squadre di kossiga, travestite da manifestanti, uccidevano con il piombo, ed in piena immunità, le nostre speranze. Ma anche perché era la stessa sinistra storica che, al tempo, uccideva criminalizzando e definendo settari ed estremisti tutti coloro che, a dir loro, erano ideologicamente fuori dell’arco costituzionale di allora.
Credo ci fossimo tutti quel pomeriggio di trent’anni fa inseguendo sogni che quella generazione credeva già reali. Penso a quei ragazzi che sono rimasti lì a sognare e poi a tutti gli altri che hanno smesso di farlo. Forse, dopo trent’anni da quel movimento che credeva di avere risposte e soluzioni per tutto, dovremmo guardarci intorno per vedere cosa davvero è rimasto. Intorno si, ma anche dentro ognuno di noi.
A proposito di farina del nostro sacco eh?
Comunque eravamo in molti a quella manifestazione che doveva essere una ricorrenza festosa ed insieme un rimarcare la difesa di conquiste referendarie importanti per la vita di tutti. E parte di quei tutti, anche i movimenti, erano lì anche dopo alcune scaramucce che non lasciavano presagire nulla di buono, tant’è che in molti preferimmo andarcene per poi sapere….
Abbiamo conosciuto, con Carla, la sorella che pacatamente, in un dolore non vinto dal tempo, ci ha raccontato di una ragazza semplice e piena di speranze per tutti che come tante altre, con entusiasmo spontaneo proprio di quella generazione, era semplicemente lì, dove è rimasta per sempre.